SEBBENE A NY SIA QUASI MORTA PER 5 VOLTE
sono tornata.
Senza che le nostre aspettative venissero disattese, abbiamo trovata la grande mela ancora bellissima.
Non solo effervescente, emozionante, cosmopolita, caotica, eclettica, modera e errante ma anche un pò pericolsa per i miei gusti.
La prima volta è accaduto dentro un Duane, e forse, più per colpa mia che per altro, ma tant’è…
Enne, durante il volo, sembrava mostrare l’ intenzione di voler affidarsi alla mia conoscenza della città, per poter meglio assaporarne la bellezza.
Tra le mille domande e attese espresse, mi aveva anche timidamente confessato di voler comprare le famose aspirine americane che, secondo le indicazioni dello zio, venivano vendute in confezioni da 400 pastiglie.
“haahhahahhahahah” fragorosamente risi
“400 pastiglie ahahahaha, ehm ehm OGGI ANCHE NELLA PRATICA CONFEZIONE DA 400 PEZZI”, continuavo a sbeffeggiarla.
“A, hai sentito? 400… ahhahaha” con sarcasmo infierivo
“forse ho capito male” sommessamente sussurò Enne.
Ecco appunto dicevo, al Duane le vidi bianche, immacolate, piccole e… tante, tantissime.
Subito mi sincerai che Enne non le avesse ancora notate, mi chinai, e strizzando gli occhi, lessi.
500 pezzi.
Le afferrai con impeto, erano due le confezioni.
1000.
Stavo ancora cercando si togliere il tappo di plastica dura dalla prima scatola, intenzionata a ingollarle tutte, pur di nasconderne la più ben minima traccia, quando Enne mi vide e senza nemmeno sapere, mi salvò.
Il secondo giorno credendo di fare una buona cosa, proposi ai miei compagni di viaggio un’ allegra scampagnata in Central Park, in bicicletta.
L’idea di sfrecciare per le stradine di Central Park mi elettrizzava, ci avrebbero scambiato sicuramente per veri nuiorchesi, pensavo, e non per sfigati turisti italiani.
Anche il prezzo si dimostrò un buon affare, dopo una contrattazione beduina.
Un pò impacciati salpammo.
In men che non si dica abbandonato l’acre odore di traffico per riempirci le narici dell’ intenso profumo di cacca fumante dei cavalli stracchi in attesa di qualche turista, all’ ingresso del parco.
Una breve sosta di ricognizione, e via, pronti a conquistare Central Park.
Non bastarono cinque metri per scoprire che dentro il parco le bici erano vietate.
La mia ottima idea si era trasformata in una rara occasione sportiva che nostro malgrado subimmo.
Ricondizionammo la simpatica scampagnata in bicicletta in una simpatica scampagnata a piedi con una bicicletta da portare a mano.
Alla fine anche i nostri bicipiti ne avrebbero giovato.
La delusione cocente però mi aveva lasciato un forte sapore di amaro in bocca, così con la stessa molla propultrice di un leone scappato dalla gabbia, mi gettai per strade di Manhattan in sella alla bicicletta.
Parevo Girardengo inseguito da tre increduli lucchesi.
Sorpassi, semafori rossi trafitti, pedoni falciati sulle strisce, riccioli al vento, e vituperi urlati a chi intendeva farmi prepotenze.
Il giorno del matrimonio è stata tutta un’ altra cosa.
Belli come il sole, e vestiti di niente abbiamo affrontato la city a circa 10 gradi.
Abito senza senza spalle, coprispalle di pailletes, e tacco.
Cerimonia ore 13.00
Party ore 18.00
Tra le 15.00 e le 18.00, vestiti come dei deficienti in giro per Manhattan.
Il dolore lancinante ai piedi già alle …. 13.15 aveva cominciato a martellare.
Alle 17.00 era divenuto tale da volermi gettare dal punto più alto del RockefellerCenter, e c’ero pure riuscita, avevo già un piede sulla guglia, quando, la promessa che all’ indomani avrei potuto comprare qualcosa di un valore simbolico di almeno 500 dollari, mi fece desistere dal macabro intento.
Al ristorantino messicano invece la mannaiata me l’ aveva data la leggera cucina messica, un pò come nel film “E all’improvviso arriva Polly”.
Ingollato l’ ultimo succulento boccino, vampate di caldo miste a sudori freddi pervarsero il mio corpo per le quattro ore successive, facendomi credere con spietata veridicità di essere sul punto di passare a miglior vita da li a poco.
Meno male, quasi per volere divino, Tiffany & co. sistemò tutto, in men che non si dica.
In italia, se un pedone passa con il rosso tendenzialmente alla fine ha la meglio, perchè prova te a schiacciare un pedone, e poi vedrai che ti succede.
A ny invece mi sa di no.
S’ era di fretta, stavamo per perdere il battello per vedere Manhattan al tramonto.
Ci tuffamo con vigorosa determinazione nell’ arteria esterna dell’ isola, una specie di circonvallazione larga almeno 30 metri.
Oh… non si fermavano.
Vemmmmmm, culo indietro, macchina schivata sul davanti
biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii, pube in avanti, macchina schivata dal dietro
beeeeeeeeeeeeeeeee salto di quaglia, camion schivato per un pelo
Vemmmmmm, culo indietro, macchina schivata sul davanti
biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii, pube in avanti, macchina schivata dal dietro
beeeeeeeeeeeeeeeee salto di quaglia, camion schivato per un pelo
Ad ogni modo, perseverare è diabolico, e sudati fradici e pure con un forte bisogno di restroom, salpammo l’hudson fieri della nostra avvincente impresa.
sai che c’è?
secondo me, morire ny, ne sarebbe perfino valsa la pena!
in foto: caju sorridi e non pensare al mal di piedi.
4 Comments
bentornata (per fortuna del cielo e della grande mela tutta!)
mancava proprio questo blogghetto qui!
;DDD
mia cara zelda, se tu non ci fossi, dovrei inventarti! 🙂
Fa molto Rent trapassare a NY.. ma te se non ne combini almeno una non sei mai contenta, eh!?!?
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