RINGRAZIO E NOMINO

23 Maggio 2014

Più o meno comincia così.
Sulla bacheca di facebook appare qualcuno che tronfio di orgoglio pubblica foto di vintage miniloro.
Non te ne curi e vai avanti.
Poi la cosa diventa pericolosamente virale e allora cerchi di capire.
Cosa è?
Perchè?
Capisci, ed è il panico.
E’ un giochetto, si accetta la sfida ringraziando per la nomination, e come nelle riunioni della pentole della AMC alle quale sei moralmente obligato a parteciparte, ti vendichi nominado a tua volta.
Nomini gente onesta, che fa il suo lavoro senza dar noi a nessuno.
D’istinto preghi, come non hai mai pregato.
Chiedi al buon Dio che a nessuno venga la malsana idea di nominarti, mantieni un basso profilo, non pubblichi post… non commenti.
Non dai nell’ occhio perchè sai che croce e delizia di facebook è la visibilità.
A ogni notifica sudi.
Poi ti riprendi.
Passano giorni e nessuno ti ha cercato, credi di avercela quasi fatta, e ti grogioli nel tuo orgoglio radical chic che si nutre di ovvietà e convenzioni ma che non si abbassa a certe cose, e poi…

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Davanti agli occhi ti passa una vita.
Ignoro, penso, e mi salvo comunque.
Certo sta male… magari passo da snob.
Metto un mi piace e poi ritiro la mano.
Ecco si, basta così, che poi uno potrebbe pure essere in vacanza, e allora mica può aver dietro foto da bambino  da pubblicare.
Certo faccio la commercialista ed è maggio, non posso essere in ferie.
Si ok, ma può essere che non ho visto la notifica…
Mannaggia al quel mipiace!
Basso profilo.
#staiserena.

 

Prendi la scala.
Perché le vecchie foto non sono in una cartella del computer.
Spolveri la scatola con gli angoli tutti rotti e ti metti a ravanare tra vecchie immagini.

Trovi la tua infanzia su polaroid, e pensi al fascino antico di questi scatti.
Antico appunto.
Perché un auto si definisce d’epoca dopo venti anni e qui di anni ne sono passati più di trenta.
Quanto sono vecchia, ecco cosa mi dicono queste foto.
Quanto cavolo sono vecchia.
Però quanta tenerezza queste foto d’epoca con questa Sara che non ho mai conosciuto.
Qui mia mamma non c’ entra ancora niente.

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Ecco magari qui si, una sorta di responsabilità civile potrebbe configurarsi.
Perché quel fazzolettino bianco in testa, abbinato a maglioncino chiuso fino al collo, accostata ad un fratello con un casco in testa, visibilmente perplesso?
Nonostante tutto però è ancora la tenerezza a smuovermi l’animo.

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Poi arrivano le lunghe sessioni fotografiche delle elementari.
Tutti in tuta, per fare gli scivoloni in corridoio. Per star comodi, via.
Perche alle elementari si gioca e ci si sporca.
Meno che io.
Con gonnellini scozzese e camicia, abbinata a un maglioncino color canarino che fa tanto bon ton.
Sono le 23, è tardi, altrimenti un colpo di telefono a mia mamma magari lo avrei anche dato.
Almeno per sentire se mai ne avesse parlato con un padre confessore di tutto questo.

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Se mai lo avesse fatto probabilmente quell’uomo non le dette mai buoni consigli.
Perché crescendo arrivò la fase del tutto fucsia, tutto verde acqua, tutto giallino, che se Libero, Levante e Selvaggia li prendeva pe i culo anche il bidello, vi lascio immaginare cosa capitasse a me.
Fu forse mio padre a pagarle la cauzione.

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La fase della danza classica ancora me la porto dietro.
Le poche immagini che si rinvengono in giro ne dimostrano il coinvolgimento che mi aveva rapita.
Vivevo momenti di pura astrazione da me, persino sul palco di un teatro, il giorno del saggio.
Di allora mi rimane ancora una grande grazia e solo un tutù.
Diciamolo, i servizi sociali negli anni ottanta non lavoravano poi tanto bene.

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La prima comunione mi rovinó su piazza.
Sebbene mia madre ne andasse particolarmente fiera, era noto ai più il disagio fisico e mentale al quale ero sottoposta.
Qui a dirla tutta pure mio padre ha la sua buona dose di responsabilità, che schivo non tentó mai di portarmi in salvo.
Come può una madre fotografare una figlia così?
Il fatto che le foto siano anche stampate non è certo un’aggravante, perché allora tutte le foto venivano stampate, ma averle incorniciate e messe in bella mostra nel salotto quello certo si.
Per anni un amico particolarmente sensibile quando veniva a trovarmi si trovava costretto a girare verso il muro quelle immagini che tanto lo mettevano in soggezione, per dire.

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Non potete darmi torto, è chiaro.
E ve lo dico ancora con l’immagine stampata sulla retina della foto conosciuta ai più come “Moto Buzzi”.
Non c’è davvero giustificazione per una madre che nella fase del “e mangiatelo un’altro panino Sarina”, abbia osato solo pensare di fermare per una vita intera un istante di scarso coinvolgimento emotivo ma di sicuro carattere vessatorio.

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Ecco, e ora che mia hanno nominata?
Quale foto metto mamma?
Quale mi rappresenta meglio?
Dillo se trovi il coraggio!

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